E’ molto comune in ambito imprenditoriale sentire la raccomandazione di fare coaching ad un collaboratore quando è in difficoltà nell’esercizio delle proprie incombenze, come ad esempio raggiungere gli obiettivi, atteggiamento sbagliato, ecc. anche se il “coach” di turno non ha alcuna capacità o esperienza, in questo settore o non conosce bene in cosa consiste questo strumento.
E’ importante considerare questi punti quando parliamo di coaching:
1. Ci sono problemi che non possono essere risolti attraverso il coaching, soprattutto quelli di indole emozionale e quelli che richiederebbero uno specialista dato che, come argomenta Flores, “un coach deve incanalare i casi clinici alla psicoterapia”, dal nostro punto di vista è una questione etica, che per il coach dev’essere molto chiaro.
2. Un altro aspetto da considerare, come ha giustamente segnalato Talavera, è l’affinità tra le parti (coach e coachee): “per far sì che questo strumento del management (riferendosi al coaching) abbia successo, è estremamente importante che ci sia chimica tra chi la impartisce e chi la riceve”. E’ fondamentale giacchè non è possibile creare una relazione di crescita (effettivamente con la crescita del coachee c’è una conseguente crescita del coach) senza una perfetta armonia tra le persone coinvolte nel processo.
3. Il coaching non cerca soltanto di aiutare le persone a risolvere una problematica, ma il suo intento è soprattutto quello di provocare un cambiamento importante nella propria vita, dal vedere in maniera distinta una determinata situazione, fino ad arrivare ad un cambiamento di atteggiamento con i colleghi di lavoro. Come segnala Visval: “il coaching non solo cerca la trasformazione o la miglioria continua del dirigente, ma un cambiamento trascendentale o una modifica importante”.
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